Sabato scorso sono salito sul palco a Cassino, in occasione di TEDxCassino , di fronte a un pubblico attento. Ero lì per parlare di shockwave, quelle ondate di innovazione che sconvolgono gli equilibri, e del perché credo che nel caos di queste trasformazioni si possa trovare una forma di cura.
Ho scelto questo tema, all’interno della traccia principale “Succisa virescit”: vivere antifragile. Come prosperare nel Caos, senza smettere di essere umani?” perché penso che viviamo in un’epoca di rivoluzioni costanti, in cui la tecnologia accelera ogni processo, e volevo condividere come ho imparato ad affrontare queste ondate invece di farmi travolgere.
In sala, anche nei talk prima e dopo del mio, ho percepito una miscela di curiosità e un pizzico di inquietudine, ma soprattutto la voglia di capire come navigare l’incertezza dei nostri tempi.
Io non ero al meglio della forma, ma ci sta: forse è proprio in questi momenti di attraversamento della complessità che si cresce.
Grazie a Gian Marco Di Nallo Angelo Astrei e tutto il team per l’invito ed il supporto che mi hanno dato durante questi giorni, non facilissimi.
Qui il post che ho messo riguardo al mio Tedx e Speech
Il caos che cura
C’è un momento in cui ci si accorge che qualcosa sta cambiando.
Non è un’intuizione, è una sensazione fisica.
Si avverte una vibrazione, come un rumore che si ferma, come il mare che si ritira per un attimo.
Poi arriva l’impatto.
Quella sensazione ha un nome: shockwave.
Nella fisica, è un’onda di pressione che viaggia più veloce del suono.
Si genera quando un corpo si muove a una velocità tale da superare la capacità dell’ambiente di assorbirne l’energia.
Una parte di quell’energia si concentra e crea un fronte netto, improvviso.
Nel campo dell’innovazione, le shockwave sono i momenti in cui la velocità del cambiamento supera la nostra capacità di adattamento.
Non è solo un effetto di mercato. È una condizione.
L’evoluzione della velocità

Per decenni abbiamo rappresentato l’innovazione con una curva.
Everett Rogers la chiamava Diffusion of Innovations.
Descriveva come le nuove tecnologie si diffondevano: prima gli innovatori, poi gli early adopters, poi la maggioranza e infine i ritardatari.
Era un modello ordinato e, per molti anni, funzionava.
Le persone e le organizzazioni avevano il tempo di osservare, capire e decidere come inserirsi nel cambiamento.
Oggi quella curva non descrive più nulla.
Le innovazioni non si diffondono gradualmente: appaiono, si espandono e si impongono in tempi brevissimi.
Nel 2022, ChatGPT ha superato i cento milioni di utenti in due mesi.
Netflix ha impiegato nove anni per raggiungere la stessa cifra.
Non è solo una differenza di scala. È una differenza di velocità.
Viviamo in un’epoca in cui la velocità è diventata una variabile indipendente.
La maggior parte delle persone, delle aziende e delle istituzioni non riesce più a elaborare gli effetti di ciò che adotta.
Siamo dentro un flusso continuo di cambiamenti che si sovrappongono e si amplificano.
Lo shock come condizione

Uno shock non è necessariamente una crisi.
È una rottura di equilibrio, un punto in cui la quantità di energia accumulata diventa sufficiente a generare un salto.
Nel linguaggio psicologico, è la risposta immediata a un evento imprevisto.
In economia, è la variazione improvvisa di un parametro che modifica le condizioni del sistema.
In entrambi i casi, l’effetto è lo stesso: la struttura reagisce, si deforma, poi cerca un nuovo assetto.
Ogni rivoluzione tecnologica è iniziata con uno shock.
La stampa, l’elettricità, Internet.
Ogni volta una soglia è stata superata.
Oggi le soglie sono più ravvicinate.
La distanza tra una scoperta e la sua applicazione si è ridotta da decenni a mesi.
In alcuni casi, a giorni.
Una shockwave, quindi, non è un evento isolato ma una sequenza di accelerazioni che si sommano.
È la nuova unità di misura del cambiamento.
Chi la riconosce in tempo, può adattarsi.
Chi la ignora, la subisce.
La risposta umana
Quando la velocità cresce, il primo istinto è cercare stabilità.
Le persone e le organizzazioni provano a difendere ciò che conoscono.
È un riflesso naturale, ma nel tempo produce fragilità.
Un sistema che resiste a ogni variazione diventa rigido e perde capacità di risposta.
Nassim Taleb ha usato il termine antifragile per descrivere ciò che, sotto pressione, non solo resiste ma migliora.
Non è un concetto teorico: lo si osserva in natura, nell’economia, nei comportamenti collettivi.
Un organismo esposto a stress controllato si adatta e diventa più efficiente.
Un’organizzazione che attraversa una crisi e ne analizza le cause, costruisce anticorpi operativi.
Essere antifragili non significa cercare la difficoltà, ma riconoscere che la variabilità è parte del funzionamento.
Un ponte sospeso oscilla per distribuire il peso.
Un ponte rigido, al primo terremoto, crolla.
L’antifragilità come competenza
Nella pratica, l’antifragilità si costruisce attraverso tre atteggiamenti.
Il primo è la percezione.
Chi riesce a intercettare i segnali deboli può anticipare l’impatto.
I segnali deboli sono le informazioni marginali che indicano un trend nascente: un cambiamento nel linguaggio, un nuovo comportamento d’uso, un errore ripetuto.
Il secondo è la sottrazione.
La semplificazione non è un esercizio estetico, è un metodo per ridurre il rumore.
Ogni elemento superfluo diventa un punto di rottura quando la velocità aumenta.
Molte aziende che innovano con successo lo fanno perché tolgono livelli decisionali, non perché li aggiungono.
Il terzo è la sperimentazione.
Chi prova in piccolo, sbaglia in piccolo.
Ogni test produce dati e riduce l’incertezza.
La resilienza serve a sopravvivere.
L’antifragilità serve a imparare.
Tecnologia e adattamento
L’intelligenza artificiale è oggi una delle shockwave più estese e trasversali.
Non perché sia più “intelligente” delle altre tecnologie, ma perché attraversa ogni settore e cambia la relazione tra persone e strumenti.
L’AI non genera fragilità: la evidenzia.
Mostra dove mancano conoscenza, metodo o fiducia.
In molte organizzazioni, i problemi non derivano dagli algoritmi, ma dal modo in cui vengono integrati.
Dove i processi sono chiari, l’AI accelera.
Dove sono opachi, li rende visibili.
La rapidità con cui si diffonde un modello di linguaggio, o un sistema di automazione, crea la percezione di una perdita di controllo.
In realtà, ciò che perdiamo non è il controllo, ma l’illusione di poterlo mantenere immutato.
Le tecnologie, come le shockwave, non hanno un’intenzione.
Mettono a nudo le strutture.
Rivelano i punti di attrito.
Fragilità e cura
Ogni volta che una tecnologia ci mette in difficoltà, ci offre anche un’occasione di apprendimento.
Non sempre la riconosciamo, perché l’impatto arriva prima della comprensione.
Ma l’effetto è evidente: dopo ogni grande cambiamento restano nuove abitudini, nuove parole, nuove regole.
Negli ultimi mesi, ho vissuto anch’io una forma di shock.
Mio padre è morto.
È stato un colpo improvviso, come tutte le perdite.
Mi ha ricordato quanto la fragilità faccia parte dell’esperienza umana.
Non c’è sistema che la elimini, ma si può imparare a conviverci.
Ho pensato spesso che l’AI, un giorno, potrà contribuire a ridurre la sofferenza legata alle malattie.
Non è una speranza vaga: molti dei progressi recenti nella diagnostica e nella ricerca arrivano proprio da modelli di apprendimento automatico.
Quando accadrà, diremo che l’AI ha trasformato un limite in una forma di cura.
Questo è il punto: ogni shock contiene un potenziale di guarigione.
Non perché allevia il dolore, ma perché ci obbliga a rivedere la struttura del nostro rapporto con il mondo.
Il significato della shockwave

Le shockwave non sono eventi da temere.
Sono il modo in cui la realtà redistribuisce l’energia.
L’economia, la tecnologia e la vita delle persone si muovono ormai con la stessa logica.
Ogni accelerazione rompe un equilibrio e ne costruisce un altro.
Il compito non è evitare l’impatto, ma sviluppare la capacità di leggerlo.
Riconoscere la direzione dell’onda e orientarsi di conseguenza.
Non serve essere i primi a muoversi, serve muoversi nel momento giusto.
Chi si irrigidisce resta indietro.
Chi impara a oscillare trova stabilità anche nel movimento.
Oltre la minaccia
La shockwave non è una minaccia.
È un ambiente.
Ci attraversa tutti, come attraversa le reti, i mercati, i linguaggi.
Essere antifragili significa accettare questa condizione e usarla per migliorare.
Ogni impatto rivela una parte del sistema che può evolvere.
Ogni cambiamento, se osservato con lucidità, diventa una forma di conoscenza.
Il mondo non ha bisogno di sistemi perfetti.
Ha bisogno di sistemi che sappiano adattarsi.
La prossima evoluzione non sarà una tecnologia.
Sarà la capacità umana di restare consapevoli dentro l’accelerazione.
Perchè il caos, se impariamo ad attraversarlo, è cura.

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