Vinco le mie battaglie anche con i sogni che i miei soldati fanno quando dormono
Napoleone Bonaparte
Schumpeter sosteneva che il tratto essenziale dell’imprenditore stia nella propensione a innovare.
Io credo, invece, che stia nella propensione a sognare. L’imprenditore sogna avventure economiche, ma che travalicano l’economia: sogna uomini che felicemente producono, e mercati che decretano il successo dei loro prodotti; sogna benessere crescente per comunità operose. Non a caso, prendendo i prestito i termini dalle biografie dei santi, gli imprenditori amano parlare di mission e di vision.
Sotto i colpi degli scandali, del pragmatismo e della cosiddetta crisi, l’impresa ha smesso di sognare. Ora, per ritrovare questa sua smarrita capacità vitale, occorre che essa attentamente coltivi emulazione e solidarietà, concretezza e gioco, emotività ed etica, leggerezza ed estetica. Un’impresa fatta di guerrieri iperattivi, assillati dal lavoro come categoria onnivora, compiaciuti dei loro ritmi stressanti, tesi fino allo spasimo verso l’eliminazione del concorrente, nemici a tutti gli altri e, in fondo, anche a se stessi, è un’impresa senz’anima e senza felicità.
E’ un mondo senza sogni.
Occorre dunque restituire all’impresa una dimensione onirica: giovane, armoniosa, ottimista, sperimentale, curiosa, intraprendente, sensuale, impertinente, fantasiosa. Occorre trasformare l’impresa in un giardino dei sogni e trasformare i sogni in fiorite realtà.
di Domenico De Masi
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