Le aspettative dei consumatori per servizi di qualità sempre più elevati e accessibili in modo semplice e veloce rappresentano la sfida più ardua per i retailer di oggi. Soprattutto se devono competere in un mercato globale dove realtà come Amazon, Alibaba, eBay, o Google – solo per citarne alcune – stanno scardinando, attraverso la tecnologia, modelli e logiche che sembravano solide e consolidate.
Il paradigma 4.0, caratterizzato da interconnessione estesa, automazione, accesso ai dati, intelligence, si riflette ormai anche nel Retail diventando l’ombrello sotto il quale far cadere anche il concetto di omnicanalità dove, paradossalmente, “omni” dovrebbe quasi significare unico. Come l’esperienza dell’utente, unica nella sua espressione di autenticità e personalizzazione, coerente nella sua accezione di connessa, integrata, “unica” indipendentemente dal tipo di canale e dalla sua natura fisica o digitale.
Retail 4.0 e user experience: non lasciamo che siano “parole al vento”
Secondo gli analisti di Bloomberg, in particolare della divisione Bloomberg Intelligence, i “digital-native retailer” continuano a rimanere i più competitivi rispetto ai commercianti di tipo tradizionale, anche di coloro che tutto sommato stanno investendo in tecnologie digitali innovative. Tuttavia, c’è un aspetto importante che ritrovo nell’analisi di Bloomberg: a quanto pare, chi non investe in innovazione tecnologica continua a cedere market share ai concorrentimentre chi prova ad apportare qualche cambiamento (anche portando un piccolo servizio digitale nello store fisico, come il catalogo sfogliabile da un tablet) ha qualche chance in più di resistere alla forza competitiva dei grandi retailer digitali.
Eppure, secondo il report dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano, il processo di trasformazione del Retail italiano è ancora lento. Solo il 42% dei grandi retailer considera l’innovazione un fattore chiave per competere oggi. Un dato che mi lascia decisamente perplesso, ancor di più se guardo la percentuale di spesa: quella per l’innovazione digitale rappresenta solo il 20% degli investimenti complessivi di un retailer italiano.
Con questi numeri c’è il rischio che il divario tra i top player digitali ed i commercianti del nostro paese si amplifichi ancor di più. E quando la forbice sarà troppo ampia, le lamentele sull’aggressività dei vari Amazon e Google serviranno davvero a poco.
Il rovescio della medaglia, per fortuna lo si vede andando a guardare le tipologie di investimento. La maggior parte di chi investe in un percorso verso il Retail 4.0, seppur non ancora del tutto strutturato, lo fa in progetti di front-end che hanno come obiettivo il miglioramento della customer experience. Peccato solo che, ancora troppo spesso, siano focalizzati solo sul punto vendita, tralasciando quindi le logiche dell’omnicanalità e l’approccio Retail 4.0, i quali dovrebbero invece essere i veri motori di innovazione.
Intelligenza Artificiale ed intelligence sui dati (analytics avanzate) daranno una forte accelerata al Retail 4.0
Per capire cosa sta succedendo nel mondo Retail e su quali tecnologie si potrà puntare per innescare il nuovo paradigma 4.0 tocca volgere lo sguardo, ancora una volta, verso gli Stati Uniti d’America.
Walmart, una delle più grandi e famose catene di supermercati e negozi al dettaglio del pianeta, ha introdotto all’interno di 50 dei suoi negozi (il numero ridotto è legato al solo fatto che, per ora, il progetto è in fase di sperimentazione) alcuni “Shelf Scanning Robots”, robot che monitorano la situazione negli scaffali controllando scorte, esposizioni, comunicazione, prezzi richiamando l’attenzione dei commessi solo se strettamente necessario (la gestione delle scorte per esempio può essere totalmente automatizzata e gestita dagli stessi robot collegati direttamente con il magazzino).
AmazonGo, ormai lo sapete tutti, è l’esempio evidente della nuova frontiera del Digital Retail, un negozio che basa sulle tecnologie più innovative tutta l’esperienza di acquisto in-store, compreso il check-out che avviene senza bisogno di passare dalle casse per il pagamento. Le persone che entrano nel negozio vengono monitorate attraverso sistemi di riconoscimento delle immagini e sensori che registrano il comportamento di acquisto (ed i beni immessi nel carrello). In uscita i clienti non pagano, ricevono la ricevuta della transazione di pagamento direttamente sul proprio account Amazon.
In questo secondo caso, la customer experience è evidente, l’esperienza di acquisto è semplice, rapida, soddisfacente per l’utente. Nel primo caso, trattandosi di un progetto di efficienza operativa, il nesso con la customer experience è più “sottile” ma c’è: vi siete mai trovati in un negozio dove mancavano a scaffale dei prodotti e siete dovuti andare alla ricerca del personale di vendita per chiedere informazioni? Ecco, con i robot di Walmart questo non accade più.
Il mantra: user experience (ed engagement)
Quello che accomuna questi due esempi (sicuramente un po’ estremi ma che servono a far capire che “chi corre”, investe in tecnologia ed innova vince nella gara competitiva globale) sono le tecnologie adottate: Intelligenza Artificiale(computer vision, riconoscimento immagini, sensori di movimento, ecc.) e Analytics (sofisticati sistemi di analisi e gestione intelligente dei dati).
Due delle tecnologie che più di altre rivoluzioneranno, ancora, il mondo del Retail offrendo, in particolare, gli strumenti necessari alla data monetization, ossia alla valorizzazione (in termini di business) dei servizi digitali erogati e della user experience offerta alle persone. Ecco alcuni esempi di come questo potrà avvenire:
- personalizzazione degli storefront per ogni singolo cliente: l’Intelligenza Artificiale consente, attraverso il riconoscimento facciale, di identificare le persone che entrano in uno store fisico; l’analisi avanzata dei dati (per esempio lo storico degli acquisti o le conversazioni dell’utente circa uno specifico brand sui digital media) permetterà poi di adattare l’esperienza di acquisto della persona, per esempio con display che erogano contenuti ad hoc pensati per “quel” cliente, servizi e prezzi personalizzati, riconoscimento di premi o promozioni particolari, ecc.
- individuazione delle preferenze di acquisto: gli assistenti virtuali (come Alexa di Amazon), inseriti in un negozio, possono aiutare i clienti con le scelte di acquisto suggerendo servizi o prodotti in base alle loro preferenze e bisogni (anche se non direttamente espressi in quel momento ma analizzabili attraverso gli analytics)
- riconoscimento e comprensione delle emozioni: attraverso l’analisi delle espressioni facciali è possibile capire lo stato d’animo di una persona; da qui, il passo per poter rendere unica e personalizzata la sua esperienza di acquisto non dovrebbe essere complessa;
- analisi real-time delle informazioni: in questo caso gli analytics e l’Intelligenza Artificiale entrano in gioco “dietro le quinte” e poco importa se l’esperienza di acquisto stia avvenendo in uno store fisico oppure online. Quel che conta è che l’analisi in real-time dei dati e l’apprendimento automatico (machine learning) diventano gli strumenti opportuni per creare in modo proattivo una esperienza utente unica e personalizzata, disegnata a seconda dello specifico contesto (dove si trova l’utente, cosa sta facendo, che tipo di abitudini sta mostrando, che tipologia di servizi o prodotti sta consultando, ecc.).
A fare da fil rouge è sempre la user experience, anzi, volendo estendere il concetto ad un linguaggio di business, che renda bene l’idea della possibile monetizzazione di questa esperienza, dovremmo parlare di user engagement. Un principio che va ben oltre le buzzword marketing ma che si può concretizzare in un vero e proprio framework metodologico di riferimento per i Retailer.
Questi gli elementi dello user engagement framework (così come lo abbiamo sviluppato in Iquii):
- connect: comunicare, relazionarsi, connettersi con i propri utenti attraverso tutti i canali ed i device possibili;
- engage: far vivere a questi utenti un’esperienza “memorabile” (attraverso diversi strumenti e progetti) affinché gli rimanga un ricordo (del brand, del servizio, ecc.);
- analyze: analizzare i dati lungo tutta la filiera integrando i dati provenienti da tutti i canali che hanno consentito al brand/retailer di entrare in contatto, comunicare, stabilire un ingaggio/relazione con le persone per creare nuovi servizi, sviluppare campagne marketing ad hoc, fidelizzare i clienti, sviluppare nuove idee.
Quest’ultima fase è quella che porta alla monetizzazione vera e propria ma, senza le prime due, rischia di essere solo una grande scatola vuota.