Ho finito di leggere SuperAgency. Notevole.
Un libro a mio avviso che va letto, non perché visione unica e corretta per definizione, ma perché unisci molti punti che consentono di farsi una idea sul futuro.
Convergenza tra IA e leadership: verso una “superagency” aziendale
La convergenza tra intelligenza artificiale e leadership sta ridefinendo il modo in cui guidermo le organizzazioni di domani, senza dubbio. Reid Hoffman (co-fondatore di LinkedIn) e Greg Beato, nel loro concetto di “Superagency”, immaginano un futuro in cui l’AIamplifica l’agire umano invece di sostituirlo. Una visione condivisibile ma che merita di esser spiegata, legando più temi e spunti.
In questo scenario, uomini e macchine collaborano in simbiosi (come definito in “human-in-the-loop”), raggiungendo uno stato di superagency che moltiplica la creatività, la produttività e l’impatto positivo di ciascun individuo . È un approccio ottimistico e visionario: il concetto di Superagency sfida è di fatto una sfida ai timori (frequenti) tradizionali verso l’AI e invita a guardare al futuro con opportunità, non con paura . Per i leader, ciò significa ripensare il proprio ruolo non solo come decisori, ma come orchestratori di potenti team ibridi uomo-macchina.
Questa visione non è fantascienza, ne tanto una visione solo ottimistica come ho detto: è una riflessione sul potenziale reale dell’AI. Immaginiamo macchine capaci non solo di eseguire compiti fisici, ma anche di pensare, imparare e prendere decisioni autonome – il tutto con l’uomo al centro del controllo. Il risultato sarebbe paragonabile alle più grandi rivoluzioni tecnologiche del passato (dalla stampa a vapore a Internet), se non addirittura (probabilmente si) superiore . L’AI infatti non si limita ad automatizzare attività, ma può svolgere funzioni cognitive complesse: è in grado di adattarsi, pianificare, fornire consulenza e persino prendere decisioni sulla base dei dati . Questo implica che il decision-making aziendale debba diventare un processo congiunto uomo-macchina, dove l’AI elabora analisi e scenari, ed i leader apportano visione strategica, esperienza ed etica nelle scelte finali.
Parallelamente, il concetto stesso di lavoro si sta ridefinendo, come ho scritto più volte anche in altri post. Grazie all’AI generativa, molte mansioni routinarie vengono e saranno sempre più automatizzate, liberando tempo per attività a più alto valore aggiunto come l’innovazione (paradossalmente ulteriormente supportata da AI) e la risoluzione creativa dei problemi. L’AI abbasserà le barriere di competenza, aiutando le persone ad acquisire abilità in più campi e lingue, in qualsiasi momento . Ciò significa che talenti di ogni livello potranno essere potenziati: un dipendente con strumenti di avanzati potrà svolgere compiti prima riservati a specialisti, ampliando i confini delle proprie capacità. In questo senso, l’avvento di strumenti intelligenti diventa un “moltiplicatore di conoscenza”, un acceleratore di crescita anche individuale, un’abilitatore che democratizza l’accesso alle informazioni e alle competenze, portando ad una forza lavoro più versatile e problem-solver .
Anche la creatività entra di fatto in una nuova era. Gli algoritmi generativi possono proporre idee, disegni, strategie inedite, diventando una sorta di “collega creativo” per leader e team. Nella visione di Hoffman e Beato, l’AI sblocca livelli di creatività e produttività senza precedenti, aiutando l’umanità a raggiungere traguardi prima impensabili . In pratica, un leader del marketing potrebbe usare un modello AI per generare centinaia di concept di campagna in pochi minuti, per poi esercitare il proprio giudizio nel selezionare e perfezionare le idee migliori. L’AI amplifica l’estro umano, anziché imbrigliarlo, e ridefinisce la creazione di valore: non più un atto solo umano, ma un dialogo costante tra intuizione umana e suggerimento della macchina.
La convergenza tra AI e leadership ci proietta verso un modello di organizzazione “superagente”, dove ogni persona – dal CEO all’ultimo assunto – può operare con un livello di efficacia potenziato. Questo richiede ai leader una mentalità nuova, capace di abbracciare l’AI come partner strategico. Come sottolinea Hoffman, è una chiamata all’azione: abbracciare con entusiasmo queste tecnologie e plasmare attivamente un mondo dove ingegno umano e potenza dell’IA si combinano per creare qualcosa di straordinario .
AI, like most transformative technologies, grows gradually, then arrives suddenly. – Reid Hoffman
Trasformare l’organizzazione per abbracciare l’AI
Le potenzialità di questa nuova wave tecnologica sono senza dubbio potenti, ma devono tradursi in azioni concrete. Molte aziende hanno iniziato a investire in AI, ma poche la stanno davvero sfruttando appieno nei processi quotidiani. Un recente report di McKinsey rileva che quasi tutte le imprese stanno investendo in IA e il 92% prevede di aumentare la spesa nei prossimi tre anni, ma solo l’1% dei leader dichiara di aver raggiunto una maturità piena nell’uso dell’AI (ovvero integrazione completa nei flussi di lavoro e impatto significativo sul business) . Questo divario tra entusiasmo e risultati concreti solleva una domanda critica: come possono i leader portare le loro organizzazioni al livello successivo, verso una vera trasformazione guidata dall’IA?
Il primo passo è riconoscere dove risiedono realmente gli ostacoli. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il principale freno non è la tecnologia in sé né la resistenza dei dipendenti – sono i leader stessi. La ricerca McKinsey conclude che i dipendenti sono pronti ad adottare l’AI; il più grande ostacolo al successo è la leadership che non sta guidando il cambiamento con sufficiente velocità e decisione . Molti C-level, infatti, tendono a imputare la lentezza dell’adozione all’“immaturità” o mancanza di competenze della forza lavoro, quando in realtà gli impiegati spesso mostrano entusiasmo e apertura verso queste tecnologie. Basti pensare che, secondo il sondaggio, i dirigenti intervistati sono risultati oltre due volte più propensi a citare la scarsa prontezza dei dipendenti come barriera, piuttosto che mettere in discussione il proprio operato . Eppure, gli stessi dipendenti dichiarano di sentirsi già abbastanza preparati per l’AA e desiderosi di utilizzarla di più. Si delinea qui un gap di percezione: i leader sovrastimano le difficoltà bottom-up, mentre il personale attende una guida più decisa dall’alto.
Un altro elemento emerso è la fiducia: i lavoratori riconoscono i rischi legati all’AA (es. possibili inesattezze, cyber security), ma confidano maggiormente nella propria azienda che in altre istituzioni per un utilizzo etico e sicuro dell’AI . Il 71% dei dipendenti si fida infatti del proprio datore di lavoro nel “fare le cose giuste” con l’AI, più di quanto non si fidi di università, big tech o start-up . Questo dato rappresenta una grande opportunità: i team sono pronti a seguire i loro leader nell’adozione dell’AI, se questi ultimi sapranno dimostrarsi all’altezza della fiducia riposta, bilanciando velocità di implementazione e sicurezza.
Colmare il divario generazionale e culturale
Dentro le aziende convivono diverse generazioni con attitudini differenti verso la tecnologia. Sorprendentemente, non sono i giovanissimi neoassunti i più esperti di IA, bensì i Millennial tra 35 e 44 anni – molti dei quali ricoprono già ruoli di manager e team leader. In un sondaggio, questa fascia è risultata la più attiva ed ottimista nell’uso dell’IA: il 62% dichiara alta familiarità, contro il 50% dei Gen Z (18-24 anni) e appena il 22% dei baby boomer over 65 . I Millennial, nati nell’era digitale, stanno diventando i campioni del cambiamento ideali: hanno l’entusiasmo e l’esperienza per fare da ambasciatori interni dell’IA. I leader saggi dovrebbero sfruttare questo capitale generazionale, coinvolgendo i manager Millennial come agenti del cambiamento per formare e motivare i colleghi all’adozione di nuovi strumenti.
Allo stesso tempo, occorre prepararsi ad accogliere contributi anche dalla Generazione Z, che porta nelle aziende una naturalezza nell’usare l’AI (spesso sperimentata in ambito formativo o personale) e aspettative di ambienti di lavoro tecnologicamente avanzati. Mentoring incrociati tra generazioni, programmi di champions interni e community di pratica sull’IA possono aiutare a diffondere competenze e mentalità innovative a tutti i livelli. In breve, colmare il gap significa creare un dialogo: la leadership definisce visione e priorità, ma ascolta la base e valorizza i pionieri interni indipendentemente dall’età o dal ruolo.
Verso l’AI su scala: strategie pratiche per i leader
Superata l’analisi, come possono concretamente i leader trasformare le loro organizzazioni per abbracciare pienamente l’AI? Di seguito alcune leve strategiche chiave che emergono dalla lettura:
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Allineare la leadership su una visione comune: la trasformazione efficace parte dall’alto. Il top management deve avere unità d’intenti e una strategia condivisa sull’Intelligenza Artificiale. Questo richiede un confronto continuo tra le varie funzioni aziendali per definire con chiarezza dove l’AI può generare valore, come mitigare i rischi, e quali metriche useremo per misurare il successo . Tutti i leader (CEO, CIO, responsabili di business unit, ecc.) devono remare nella stessa direzione, evitando iniziative isolate. Tema noto soprattutto se ci si è occupati di Digital Tansformation. In molti casi può essere utile nominare un responsabile trasversale per l’AI o creare un team di coordinamento dedicato, incaricato di orchestrare progetti e assicurare coerenza con gli obiettivi strategici . L’allineamento iniziale è impegnativo, ma fondamentale per evitare che i progetti restino piloti occasionali: solo con la leadership unita si potrà portare risultati scalabili e trasformativi e non solo piccoli miglioramenti locali.
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Investire sulle competenze e colmare i gap: nessuna trasformazione è possibile senza le persone giuste e le competenze adeguate. Oggi il 46% dei leader riconosce una carenza di skill nella propria forza lavoro come ostacolo significativo all’adozione di nuove tecnologie, in particolare sull’AI . È fondamentale attrarre nuovi talenti specializzati (data scientist, ingegneri ML, esperti di integrazione AI) sia riqualificare il personale esistente con programmi di formazione mirati. Le aziende leader stanno già agendo su entrambi i fronti: da un lato creando un ambiente attrattivo per professionisti tech (ad esempio offrendo tempo per sperimentare, accesso a strumenti all’avanguardia e partecipazione a community open source) ; dall’altro avviando iniziative di upskilling come bootcamp tecnici per i team IT o corsi di prompt engineering per ruoli non-tecnici, calibrando la formazione sulle necessità dei diversi ruoli . Investire nelle persone genera due benefici: si colma il divario di competenze e al contempo si alimenta una cultura interna dove l’apprendimento continuo e l’uso dell’IA diventano la norma.
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Coinvolgere tutta l’organizzazione con approccio human-centric: per ottenere adozione diffusa, l’AI non può restare confinata al reparto IT o ai data scientist – va democratizzata. Ciò significa includere fin da subito una platea ampia di dipendenti nel processo di implementazione. Eppure, meno della metà dei top manager (solo il 48%) coinvolge oggi personale non tecnico nelle fasi iniziali di sviluppo di strumenti AI based (come brainstorming e definizione requisiti) . Questo è un errore da correggere fin da subito: il contributo di chi opera sul campo (es. in vendita, operations, customer service) è prezioso per costruire soluzioni utili e user-friendly. I leader dovrebbero promuovere team interfunzionali – ad esempio agile pod dove sviluppatori lavorano fianco a fianco con esperti di business, legale, HR – e adottare pratiche di progettazione human-centered (design thinking, feedback continui degli utenti finali) . In parallelo, è determinante instaurare un clima di trasparenza e fiducia: comunicare apertamente obiettivi e limiti dell’AI, essere sinceri sull’impatto che avrà su ruoli e organici, e creare forum in cui i dipendenti possano esprimere dubbi e proposte. Coinvolgendo attivamente le persone si ottiene un duplice risultato: si riducono le resistenze (perché ci si sente parte del cambiamento, non vittime) e si migliorano i sistemi AI grazie a feedback diversificati. In ultima analisi, un approccio centrato sull’umano garantisce che l’AI sia adottata con le persone, non contro di loro.
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Coltivare una cultura di sperimentazione e miglioramento continuo: abbracciare l’Intelligenza Artificiale significa anche accettare un grado di incertezza e apprendimento per prove ed errori. I leader devono incentivare una mentalità da “laboratorio” in azienda, in cui testare nuove soluzioni su piccola scala, imparare rapidamente e poi scalare quelle efficaci. Ciò implica dare ai team spazio e autonomia per sperimentare – ad esempio, istituire progetti pilota multifunzionali, “sandbox” regolamentate dove provare algoritmi in un ambiente controllato, o hackathon interni per stimolare idee. È importante anche mantenere flessibilità di budget: investire oggi in un modello AI e domani adattare le risorse su un nuovo modello più performante, man mano che la tecnologia evolve . Una volta identificati i casi d’uso vincenti, bisogna pianificare la scalabilità sin dall’inizio – assicurando infrastrutture adeguate, integrazione nei sistemi esistenti, formazione massiva degli utenti finali – così da passare dai pilot al deployment su larga scala senza perdere slancio. In sintesi, la cultura che premia l’innovazione continua aiuta l’azienda a tenere il ritmo vertiginoso dell’AI odierna, capitalizzando rapidamente sui progressi tecnologici.
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Adottare un mindset audace e orientato al lungo termine: e questo è il punto che amo di più. Nell’era dell’AI, l’atteggiamento dei leader fa la differenza tra trasformazione e stagnazione. Occorre superare timori eccessivi e visioni di corto raggio. La storia insegna che nei momenti di svolta tecnologica il vero rischio è l’immobilismo: oltre 40 anni fa, chi ha intuito per primo il potenziale di internet – aziende come Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft – ha raggiunto capitalizzazioni enormi, mentre altri sono rimasti indietro . Analogamente, oggi “il rischio per i leader non è pensare troppo in grande, ma troppo in piccolo” . Abbracciare un mindset visionario significa fissare obiettivi ambiziosi per l’AI in azienda, accettando che nel breve termine i ritorni possano essere incerti. I benefici a lungo termine ripagheranno il coraggio: organizzazioni più efficienti, modelli di business innovativi e nuovi servizi possibili grazie all’AI. Ad esempio, invece di focalizzarsi solo su quanti posti di lavoro tradizionali potrebbe automatizzare (le stime parlano di 92 milioni di posti a rischio entro il 2030), i leader lungimiranti pianificano già la creazione dei ~170 milioni di nuovi ruoli che l’AI genererà, formando le competenze che questi ruoli richiederanno . In altre parole, spostano l’attenzione dalla paura della perdita alla visione delle possibilità. Questo approccio proattivo attrae talenti (che vogliono lavorare per aziende all’avanguardia), rassicura gli investitori e pone le basi per un vantaggio competitivo duraturo.
“Superagency” e vantaggio competitivo nell’era dell’AI
Adottare il paradigma della superagency significa in ultima analisi costruire un’azienda in cui l’AI diventa un’estensione naturale della forza lavoro e della mente collettiva. In un ambiente del genere, ogni dipendente dispone di strumenti intelligenti che ne amplificano le capacità, ogni team può contare su assistenti AI instancabili, e i leader hanno a disposizione “agenti” digitali per analisi, simulazioni e supporto alle decisioni in tempo reale. L’organizzazione diventa più veloce nell’apprendere dal mercato, più creativa nell’innovare e più resiliente di fronte ai cambiamenti, perché l’AI funge da catalizzatore e moltiplicatore di ogni iniziativa.
Questa trasformazione porta con sé un chiaro vantaggio competitivo. Le aziende che riusciranno a fondere l’ingegno umano con l’AI – raggiungendo la vera superagency – vedranno una crescita di produttività e innovazione esponenziale. Immaginate la forza vendita: ogni account manager utilizza un assistente AI per avere raccomandazioni istantanee su misura per ogni cliente. Oppure un team di sviluppo prodotto dove l’AI genera prototipi e test virtuali prima ancora di investire in prototipi fisici. I risultati in termini di time-to-market più rapidi, decisioni meglio informate e soluzioni più centrate sui bisogni. In più, un’organizzazione AI-powered attrae partnership e clienti: trasmette l’immagine di un’azienda avanzata, efficiente e capace di affrontare problemi complessi con strumenti moderni.
Vale la pena sottolineare che l’AI non rimpiazza la leadership, la esalta.
Nel paradigma superagency, i leader possono focalizzarsi su ciò che sanno fare meglio – visione, strategia, empatia, guida dei team – delegando alle macchine l’analisi dei big data, l’esecuzione di compiti ripetitivi e l’elaborazione di opzioni operative. L’AI diventa così un partner silenzioso ma potente, un “secondo cervello” accessibile a tutti in azienda. Questo porta a decisioni più solide e ponderate, perché frutto di una sintesi tra creatività umana e rigore algoritmico. L’AI evolve da semplice strumento di produttività a una sorta di “superpotere” trasformativo – un partner efficace che aumenta l’agency umana . Invece di ridurre l’uomo a un ingranaggio, lo eleva, liberandolo da vincoli operativi e sprigionando ingegno e capacità latenti.
Per sfruttare questo potenziale, i leader devono avere il coraggio di immaginare il meglio e guidare di conseguenza.
Come scrive McKinsey, i leader che sapranno sostituire la paura dell’incertezza con l’immaginazione delle possibilità (e qui la frase “L’immaginazione è più importante della conoscenza”che da sempre mi porto dietro riprende un peso incredibile) scopriranno per l’AI applicazioni del tutto nuove – non solo per ottimizzare processi esistenti, ma per risolvere sfide di business e sociali ben più grandi.
Significa passare da un’ottica difensiva (“evitare rischi”) a una proattiva (“cogliere opportunità”), ispirando la propria organizzazione a sperimentare e innovare. Questo è il momento per i leader di fissare impegni audaci sull’AI e insieme supportare le persone nell’acquisire nuove competenze, adottando uno sviluppo centrato sull’uomo . Così facendo, mentre leader e dipendenti reimmaginano fianco a fianco il modo di operare, l’AI può davvero evolvere da mero enhancer di produttività a forza di cambiamento sistemico che genera nuovo valore reale .
Superagency nell’era dell’AI significa un’organizzazione dove l’agenzia (ossia la capacità di agire e decidere) di ogni individuo è potenziata al massimo dalla tecnologia. Le aziende che seguiranno questa strada – inclusiva, visionaria e pragmatica al tempo stesso – non solo prospereranno economicamente e resisteranno agli shock a cui stiamo andando incontro sempre più frequenti, ma contribuiranno a definire un futuro in cui lavoro e creatività umana raggiungono vette mai viste. I dirigenti hanno l’opportunità storica di guidare questa evoluzione: chi saprà coglierla oggi, ponendo l’IA al centro della propria strategia e della propria cultura, costruirà i campioni di domani, mentre chi resterà esitante rischierà di essere tagliato fuori dalla prossima ondata di progresso. I
“What could possibly go right?” – per citare Hoffman – dipende dal coraggio con cui leadership e forza lavoro insieme daranno forma a questa superagenzia collettiva, trasformando l’AI in un vantaggio competitivo e in un motore di prosperità condivisa.
Un libro da leggere, per connettere un po’ di concetti e punti rilevanti sul futuro delle aziende. Senza dubbio.