Mi ricordo quando viaggiavo in macchina con mio nonno e mia nonna, sarà stato il 1987 circa, avevo 10 anni. Eravamo in una fiat 128 bianca. Trascorrevo dei week end con loro, e andavamo nella casa in campagna. Il viaggio durava oltre un’ora ad una velocità sicuramente più lenta di come la percorrerei oggi. Superata l’autostrada ricordo che percorrevamo un tratto di statale passando paesi e alcuni boschi di cui ancora oggi ricordo i colori dell’estate e dell’autunno. Le strade più strette e le curve, e diversi panorami più o meno vicino lago. Parlavamo con nonno, io e mio fratello, di argomenti di vario genere, e guardavamo fuori dai finestrini giocando a ricordare i paesaggi, le case ed i dettagli.
A distanza di anni, ogni volta che passo da quelle parti, tra quelle strade, ricordo alcune storie e dettagli che mi raccontava mio nonno e sento rievocare emozioni da luoghi profondi del cuore e della memoria che molte volte dimentico di aver provato. Ricordi che solo lì, in quei contesti ed in quei passaggi, riemergono spontanei, belli, piacevoli e che tutt’ora mi accompagnano nel mio percorso e nei mie viaggi.
Poi, adesso, guardo i miei figli, i figli di amici o ascolto confrontandomi spesso con altri genitori quanto oggi sia normale vederli incollati con lo sguardo, con le mani e con la testa a tablet, smartphone, consolle in ogni momento. Incollati a tal punto di non accorgersi cosa succeda intorno, in un viaggio in macchina e ai panorami che non vedono, in famiglia mentre la casa vive di dinamiche, o in mezzo alla gente mentre sorridono guardando allo scambio di un messaggio, ad una notifica arrivata o ad un reward ricevuto.
No, se vi stesse venendo in mente che sono un no-Digital o uno contrario all’utilizzo di giochi, consolle o altro, no vi state sbagliando, anzi. Mattia e Chiara, i miei figli, fin da piccoli li ho spinti e supportati nell’utilizzo del digitale, della programmazione e della robotica, nell’uso degli strumenti e dei software per costruire, apprendere, approfondire e risolvere problematiche.
Oggi però sono un po’ più scettico di questo percorso perché quel digitale a cui ho dato particolare peso ed importanza nel loro percorso formativo, che prima ritenevo una estensione della conoscenza e dell’esperienza e che senza dubbio ha generato delle accelerazioni e delle opportunità, è oggi a mio avviso l’elemento di polarizzazione principale della loro attenzione che non solo non da valore al resto, ma che toglie e fagocita tempo, voglia ed energia mentale. E la forza adesso è più che mai crescente e si sta sviluppando sempre di più in capacità di appagamento continuo, in tempestività e reattività, e nel sapere prima di tutti cosa il bambino vuole tanto da renderlo costantemente stimolato, non annoiato, esaltato e in tutti i sensi (ma soprattutto con tutti i suoi sensi) isolato dal mondo esterno.
Quello che ritengo stia mancando in questo processo di sviluppo a mio avviso è la disattenzione naturale, la gestione della casualità e di conseguenza lo stimolo a tutti quei processi cognitivi derivanti da curiosità e ricerca di risposte che generanno di conseguenza ancoraggio a momenti e ricordi, e quindi al processo di empatizzazione.
Se l’attenzione dei bambini (e anche la nostra se ci pensiamo) è fagocitata da algoritmi, che non lasciano spazio a casualità reale ma solo curiosità veicolata, indotta e che ci isola sempre di più da quello che ci circonda, in che modo potremmo ancorare ricordi e momenti nel contesto, legandoli ad odori, suoni, colori ed emozioni?
E se la prossima “disruption” vera fosse il ritorno alla casualità e disattenzione reale?
L’ho buttata giù così, di getto, senza rileggere, come la sto metabolizzando da giorni, guardando i miei ragazzi mentre li sto sempre più stimolando al disegno, alla ricerca dei dettagli e all’ispirazione che non per forza deve esser legata ad un mondo digitale in cui sono immersi.