Ci sono voluti 21 anni di internet, cultura digitale, strategia di comunicazione e personal branding per far impostare la foto reale nel profilo social e pubblico di una persona o professionista, soprattutto su LinkedIn, e far capire alle aziende che il recruiting stesse cambiando per modalità e luoghi.
Ora non riesco ad immaginare la scena di quando qualcuno riceverà (ammesso che succederà) le prime candidature da persone con una scimmia annoiata, un maiale imbruttito o un clonex al posto della foto del profilo LinkedIn e del cv. E mi viene da ridere al pensiero che quella foto profilo avrà magari un valore potenzialmente più alto del stesso valore della proposta economica fatta al tiziə (e magari un valore più alto del fatturato dell’azienda).
Sarà ancora più interessante vedere quanto ci metteranno alcune aziende a capire che certe competenze non le troveremo più nemmeno sui social “professionali” ma magari dentro ad un gioco o ad una meta-piattaforma e che la ricerca non andrà più fatta con parametri di valutazione e opinioni che magari escludano un potenziale talento che si sta cercando perché non riconoscibile o diverso. E linkedin ne è già pieno.