Ieri pomeriggio tra i vari tweet che leggevo con la coda dell’occhio, mentre lavoravo tra una mail e l’altra, sullo stream di twitter ad un certo punto mi è apparso questo tweet: VC’s Are Not Your Friends .
Visto quanto in questo momento sia caldo il tema legato al mondo delle startup e al mondo dei VC, vedere un post del genere mi ha stupito e allo stesso tempo mi ha lasciato con un certo livello di soddisfazione visto che questo è un consiglio che sto dando da almeno un anno a questa parte, soprattutto da quando ho dato vita agli Indigeni Digitali, ai giovani startupper che sto conoscendo in giro per l’Italia.
Si lo so che sembrerà strano, ma ho sempre pensato e condiviso il pensiero che il Venture Capital non sia un amico dello startupper. Mi spiego.
Mi è capitato, e dal mio punto di vista troppo spesso, di sentir parlare alcuni giovani startupper del loro rapporto con il proprio investitore ed esaltarsi al pensiero di essere IL progetto più importante e l’investimento sul quale verrà messa maggiore attenzione da parte dell’investitore stesso. Sicuramente l’apporto che un investitore porta alla startup, soprattutto nella fase di lancio e quindi sul recruiting, sulla pianificazione, il coaching e la ricerca di contatti non è banale ed ha un importanza forse fondamentale per far decollare un progetto . Il punto però è proprio questo: tutto queste sono consulenze, non “coccole” e non nascono per missione divina o chissà per quale visione celestiale.. I nuovi imprenditori devono capire che un VC non è altro che una forma nuova di investitore finanziario che a sua volta deve soddisfare i propri investitori e periodicamente fornire ai soci i ritorni pianificati. Il non raggiungimento dei risultati (anche nel loro caso), non darà vita ad altri fondi ed investimenti.
Credo sia condivisibile quanto scritto da Steve Blank nel post nel quale racconta questa esperienza:
…But while I was just seeing a single board member, I was just one of twenty companies in their current fund portfolio. Their fiduciary responsibility was to manage a portfolio of investments for their limited partners. And what they promised their own investors was that they would invest money in deals that would grow in value and achieve liquidity. As much as they liked me as the entrepreneur, they couldn’t throw good money after bad when they thought the deal went south…
Attenzione però, non vorrei esser frainteso: non sto dicendo che l’investitore sia un nemico dal quale prendere le distanze. Anzi. Dico che deve esser chiaro fin da subito che si tratta di un rapporto di convenienza, come qualsiasi rapporto basato su un legame economico e di investimento. Il VC, se crede nella vostra idea, ha bisogno di voi per far capitalizzare il suo investimento, e lo startupper ha bisogno del capitale per alimentare e dare forma alla progetto. L’interesse è reciproco e non può esser sbilanciato.
Ho trovato molto interessante un intervento di Tara Kelly nel gruppo Italian Startup Scene nel quale spiega quali sono i segnali che dovrebbero suggerire allo startupper di scartare l’investitore (e non solo il contrario!). Vi riporto fedelmente il contenuto del post:
Essere scartati da un’investitore per un seed capita spesso, certo. Ma quand’è dovresti TU scartare loro? Ecco alcuni punti su cui ci siamo trovati unaninamente daccordo durante un piacevole conversazione fra imprenditori. Scartate gli investitori che…
- Credono che si possa fare delle previsionni a 3-5 anni credibile prima ancora di aver raggiunto il product/market fit. Giusto che devi farti una stima, ma se lo credono più di quella – scappate!
- Entrano troppo nel dettaglio nel spreadsheet delle financials (“qualcosa non mi quadra nella cella AZ534, sei sicuro di aver calcolato bene i costi di telefonia nel 2013?”). Indica sia che credono nelle previsioni di cui sopra, sia una tendenza alla micromanagement, sia che non hanno idea del fatto che il tuo tempo è meglio speso lavorando sul business, e non dentro excel.
- Se dimostra un *qualsiasi* accenno al micromanagement. L’azienda è tua. Sempre. Comunque.
- Se dicono “investiamo sul business plan.” Tradotto, vuol dire che quando dovrai cambiare ruota (il famoso pivot), si opporranno con veemenza, rallentando tutto, e forse anche bloccando la crescita dell’azienda. In caso peggiore, potrebbe cercare di rimpiazzarti con qualcuno che seguirà il piano.
- Vogliono più del 15-20% per un seed, o più del 5-10% per un micorseed. Se prende quote del genere, non riuscierai mai a prendere fondi da altre parti. Nel futuro sarai condanatto a cercare fondi solo ed esclusivemente in Italia. Perche limitarsi così le possibilità future??
- Se si oppongono alle quote di cui sopra perche “portano un valore aggiunto”. Vendi le tue quote per denaro, null’altro. Il valore aggiunto migliore che possono portare sono i contatti. Qundi prima controllare che hanno di fatto MOLTI contatti che servono per crescere il tuo business. Allora è un buon investitore per te, gli puoi dare il privilegio di investire nella tua azienda… ma mica gli devi dare più quote.
- Se non ti piace, o se porta avanti un negoziato sporco. Il corteggiemento prima dell’investimento è la parte migliore. Se non ti piace ora, non ti piacerà mai. (understatement)
A proposito di investitori vi segnalo una iniziativa che potenzialmente potrebbe esser interessante: la Banca dell’Innovazione della quale se ne è parlato anche a Montecitorio il 2 febbrario durante l’evento Rifare l’Italia. Trovate un post di spiegazione su Wired di Dettori, e anche sul sito di Working Capital.
Personalmente, come ho anche detto in tweet durante un intervento di Riccardo Luna, io non l’avrei chiamata “Banca”. A me personalmente il termine Banca ricorda troppo quella sensazione di qualcuno che ti tiene per le palle e al quale devi qualcosa.
Io se faccio una startup voglio un partner, non uno che mi ammanetta: se ci crede, lui mette i soldi e i contatti, ed io la testa, l’idea ed il talento.