Qualche giorno fa leggevo post su LinkedIn e Twitter nei quali si rifletteva sul termine da associare a questo 2020: ho letto una miriade parole, da “paura” all’ovvio “covid”, da “distanza” a “digitale”, da “empatia” a “opportunità” passando per tante altre.
Personalmente questo anno assurdo è stato segnato, oltre che dalla pandemia come per tutti, da una miriade di eventi non pianificati e di impatto, da personali, familiari e professionali e tanti altri vari che – in una condizione di pseudo normalità – sarebbero stati trascurabili o quasi irrilevanti. Eppure in un anno così, questa sequenza di piccoli grandi “intoppi” nel percorso hanno messo sotto stress pazienza, autostima, voglia di fare e hanno fagocitato energia, fisica e mentale. Malgrado tutto, guardando indietro, sarà il mio innato ottimismo, è stato un anno di importante sotto tanti punti di vista, nemmeno troppo da dimenticare.
Alla fine del 2019 avevo scritto su facebook di voler trascorrere più tempo con la mia famiglia. Certo, non immaginavo una cosa così radicale come successo, ma ho visto crescere la mia famiglia praticamente ogni giorno senza perdere momenti che negli ultimi anni avevo trascurato, dalla sveglia del mattino fino alla sera prima di addormentarci. Abbiamo fatto squadra, affrontato tante piccole complessità condividendo insieme le difficoltà che la pandemia ha portato ad ognuno di noi, in modo differente, dal lavoro alla scuola, dallo sport al divertimento, agli amici da frequentare.
Ho capito che i bambini nella loro fragilità hanno una innata capacità di affrontare i problemi da cui dovremmo prendere spunto più spesso: Mattia mi ha dimostrato di esser un piccolo grande supereroe, in grado di riprendersi dopo un incidente incredibile, vissuto in un contesto surreale. E poi Chiara, che è stata un supporto emotivo ed uno stimolo per tutti a sorridere sempre.
Ho avuto la conferma che 15 anni fa, quando sono stato scelto dalla persona a cui ho promesso eterna fedeltà, non potevo esser più fortunato e non avrei potuto fare scelta migliore: in un anno così complesso poter aver avuto sempre un confronto sincero mi ha permesso di prendere le decisioni in modo più lucido. Certo, festeggiare 15 anni in ospedale non è stato il massimo, ma sicuramente “nella gioia e nel dolore” doveva pur prendere un senso, no?
La salute è una cosa a cui dobbiamo fare più attenzione, non solo la nostra personale o dei nostri cari, ma anche e soprattutto degli altri, perché spesso sottovalutiamo piccole attenzioni che coinvolgono chi è più debole. C’è un enorme gap in questo da colmare a livello sociale, infrastrutturale e culturale. È stato un anno nero per molti e io mi ritengo fortunato perché i miei cari, quelli più stretti, stanno bene e in un contesto così, credo che sia una cosa di io debba esser felice e che non posso non apprezzare.
La distanza che abbiamo vissuto non è stata bella, anzi. Ho avuto però modo di apprezzarla perché mi ha fatto capire l’importanza della relazione vera tra le persone, il valore dell’empatia e la necessità di esser molto più attenti alle parole, ai gesti semplici come un abbraccio ed un bacio, ad una vera stretta di mano e l’attenzione costante ai dettagli e alle emozioni che determinano il valore stesso della relazione nel momento della distanza. Ho capito anche che nella distanza chi era vicino per opportunismo si perde più velocemente, ciao.
In questa pandemia ho visto prendere forma a concetti e dinamiche di mercato di cui parlavo da anni e che sembravano lontani fino a un po’ di mesi fa. Il covid li ha accelerati e ci siamo trovati catapultati a mio avviso di almeno 3/5 anni avanti. Ho capito che c’è bisogno sempre più di riuscire a guardare le cose da angolazione differenti se vogliamo interpretare come cambia il contesto e cosa possiamo progettare di nuovo e quest’anno di spunti di questo tipo ne abbiamo avuti molti.
Mi sono reso conto ancora di più quanto ami il mio lavoro ed il team con cui ogni giorno condivido il percorso, perché abbiamo toccato con mano quanto possano esser positivi e di impatto alcuni progetti per alcune aziende con le quali abbiamo trasformato la crisi in opportunità, ripresa e crescita. Quest’anno dopo 9 anni ho ceduto il ruolo da CEO a Mirko per condurre IQUII in questo contesto al meglio e potermi occupare del cambiamento che stiamo affrontando, sopratutto verso l’estero. Insieme a Mirko in questo anno ci siamo assunti più rischi e decisioni apparentemente fuori dagli schemi ed in controtendenza e che ci hanno portato dove volevamo arrivare: ci siamo contornati di persone valide, con una crescita ulteriore del team, delle competenze e dei progetti, ma soprattutto una serie di operazioni che vedranno la luce nell’anno nuovo.
Ho letto 18 libri nell’anno, e ne ho scritti 2, e sono tornato a raccontarmi di più: mi sono reso conto che sentivo il bisogno di approfondire di nuovo più temi, condividere idee, spunti e visioni e allo stesso tempo volevo confrontarmi di più, dopo gli ultimi anni passati a fare quello che avevamo in mente a livello aziendale e personale.
Mi sono chiesto anche quali fossero i miei limiti. Ho capito che se se voglio di più devo solo definire l’obiettivo: seppur con oltre 6 mesi di non allenamento ed uno stop, mi sono imposto di recuperare oltre 1200km di corsa nel secondo semestre dell’anno e rimettermi in forma. Sono arrivato ben oltre, ho superato 300km nel solo mese di Dicembre, e ho capito che non sono ancora al limite e posso ancora alzare l’asticella personale e per questo deciso di sfidarmi ulteriormente per l’anno prossimo in un percorso sportivo ancora più grande.
Il 2020 è stata una scossa da tanti punti di vista: ho capito che puoi pianificare tutto, nel dettaglio, pensare di poter governare gli eventi, ma non sarà sufficiente se non sei flessibile, cedevole ma mai arrendevole. Robustezza più che efficienza è stata la chiave dell’anno.
Ben venga un anno nuovo dopo questo vissuto così intensamente, senza l’aspettativa che allo scoccare della mezzanotte tutto cambi: bisogna esser consapevoli che il Covid non andrà via nell’immediato e soprattutto che questa pandemia lascerà dei segni e dei cambiamenti che rimarranno e con i quali impareremo a convivere e che dovremo affrontare ancora.
Mi è stato regalato un biglietto di auguri in questi giorni con su scritta una frase di Madre Teresa di Calcutta: “Le cicatrici sono il segno che è stata dura. Il sorriso è il segno che ce l’hai fatta.” I segni di questo anno li porterò dentro di me, e li sentirò sulla pelle come un tatuaggio. Noi il sorriso lo abbiamo e continueremo ad averlo anche nell’anno che sta per iniziare perché tirando le somme e se dovessi sintetizzare in una parola, quest’anno alla fine per me è stato, nel bene e nel male, un anno di consapevolezza, di momenti di felicità e di crescita personale.
In fondo dietro alla paura che ci ha trasmesso quest’anno c’è un valore differente di felicità da apprezzare.
E allora buona felicità a tutti.