Siamo ossessionati da KPI, automazione e intelligenza artificiale, ma un gesto semplice come dire “grazie” rischia di diventare merce rara. Eppure proprio la riconoscenza, la gratitudine espressa verso colleghi e collaboratori, ma anche tra amici e in famiglia, è un collante invisibile che tiene insieme le persone nel lungo termine.
Un esempio emblematico viene da Indra Nooyi, ex CEO di PepsiCo, che inviava ogni anno oltre 400 lettere ai genitori dei suoi dirigenti per ringraziarli del “dono dei loro figli” all’azienda. Un gesto insolito e potente di leadership riconoscente, in netto contrasto con un mondo aziendale iper-tecnologico.
Del resto, anche Cicerone definiva la gratitudine “la madre di tutte le virtù”. In modo più moderno, lo psicologo Emmons osserva che senza gratitudine “organizzazioni, famiglie, società crollerebbero”.
E allora perché sul lavoro sembra così difficile praticarla? Forse perché la frenesia dei target e l’onnipresenza degli algoritmi ci fanno perdere di vista questo valore umano fondamentale. Nell’era delle macchine intelligenti e delle metriche spietate, la gratitudine è il “codice” umano sempre più raro ma cruciale per il successo duraturo.
Il potere di un “grazie”
Essere riconoscenti non è solo buona educazione. Per un leader dovrebbe essere una vera strategia di management. Studi dimostrano che un ringraziamento frequente, anche nel contesto lavorativo, motiva più di un bonus economico. La gratitudine alimenta la motivazione e la lealtà molto più delle sole metriche di performance. E non è un dettaglio: il timing del grazie conta.
Esprimere riconoscenza prima di assegnare un compito difficile può attenuare l’ansia, far sentire le persone valorizzate e spingerle ad affrontare la sfida con maggiore tenacia. Un leader che dice “apprezzo ciò che farai” prepara il terreno per resilienza e risultati migliori, più di un grazie frettoloso a posteriori. Vale con i colleghi, e vale anche con i figli.
Eppure, paradossalmente, più si sale nella scala gerarchica e meno si tende a ringraziare. Chi detiene potere sviluppa spesso una miopia di gratitudine: molti dirigenti si sentono in diritto di ricevere impegno, senza avvertire il bisogno di riconoscerlo. Il risultato? Un vuoto emotivo, una perdita di fiducia, una cultura organizzativa fragile. Diversi studi mostrano che il ringraziamento sincero, espresso da una posizione di comando, ha un impatto doppio: i collaboratori lo percepiscono come gesto potente e umano, che costruisce rispetto reciproco.
Crescere insieme grazie alla riconoscenza
La riconoscenza è il vero motore delle relazioni di mentorship. Un mentore investe tempo, esperienza e visione; chi riceve questo supporto lo traduce in impegno e voglia di dimostrarsi all’altezza. Ma il valore è reciproco: il mentor vede crescere chi ha supportato, riceve energia, nuove prospettive e spesso feedback che arricchiscono anche il suo modo di guidare.
Harvard Business Review parla di “valuta relazionale”: è esattamente questo. La gratitudine genera uno scambio che va oltre il singolo rapporto: chi ha ricevuto tende a restituire, creando un effetto a catena. Le carriere si intrecciano, si rafforzano, si trasmette cultura. È un ciclo virtuoso di crescita condivisa. Un “grazie” autentico oggi può attivare leadership migliori domani.
Questo meccanismo di restituzione è parte di una cultura che da anni personalmente ho fatto mia: il give back. Non è solo un gesto di cortesia, è una responsabilità attiva. Chi ha ricevuto ha il dovere, non scritto, ma potente, di far avanzare qualcun altro. È così che si crea un’onda lunga di competenze, visione, possibilità. In fondo, non cresci davvero se non restituisci qualcosa a chi viene dopo di te.
Il clima del grazie nelle organizzazioni
Se la gratitudine del singolo leader o del singolo mentor è importante, ancor più lo è farne un valore di cultura aziendale diffusa. Una cultura dove il grazie circola liberamente produce effetti misurabili su clima, engagement e risultati. Al contrario, la mancanza di riconoscenza crea ambienti tossici. Emmons lo scriveva già che l’assenza di gratitudine è un fattore determinante di turnover, burnout e insoddisfazione.
La buona notizia è che ringraziare rigenera il clima: migliora la fiducia, riduce il conflitto, aumenta il senso di appartenenza. Un ambiente in cui le persone si ringraziano a vicenda viene percepito come sicuro sul piano psicologico, stimolando collaborazione e innovazione. Un semplice “ottimo lavoro, grazie” può valere molto più di un aumento dato in un momento di crisi. E crea lealtà, coesione, desiderio di contribuire.
Il riconoscimento come algoritmo morale
Il riconoscimento è un algoritmo, o almeno a me piace pensare così: un codice morale fatto di attenzione, empatia e memoria condivisa. Ma è un algoritmo che oggi si esegue sempre meno, perché non produce un dato immediatamente monetizzabile. L’AI riconosce pattern, segnali, risultati. L’essere umano può, e dovrebbe, riconoscere persone, sforzi, progressi invisibili. Per questo dico spesso che la gratitudine è “l’algoritmo che manca”: quello che ci connette anche quando non serve, che dà senso anche a ciò che non è ottimizzato, ma è profondamente giusto.
L’AI e il riconoscimento freddo
Dashboard che misurano produttività, intelligenze artificiali che analizzano dati e sistemi automatici di “riconoscimento” dei risultati: in un contesto così, in cui algoritmi valutano ogni aspetto delle performance, poi emerge un altro tema da affrontare, ossi che la riconoscenza autentica è un gesto umano, impossibile da automatizzare completamente.
Sì, le AI possono supportare processi di riconoscimento più equi, aiutare a non dimenticare contributi importanti. Ma un messaggio automatizzato, se non è pensato, risulta freddo. Una nota scritta a mano, una parola detta al momento giusto, cambia tutto. Gli strumenti servono a completare, non a sostituire.
Un manager empatico sa riconoscere non solo il risultato, ma lo sforzo, la resilienza, la crescita. E quando una persona si sente valorizzata, entra in circolo un potenziale enorme: più coinvolgimento, più collaborazione, più innovazione.
Gratitudine e nuove generazioni
Mi capita spesso di notare come nelle nuove generazioni il tema della gratitudine sia più sottile, a volte quasi assente ( o per lo meno diversa ). Non perché manchi sensibilità, ma perché per molti ragazzi la gratitudine è vista come un riflesso del debito, e il debito non lo vuole nessuno. Molti sentono più forte il peso di ciò che è mancato, che la gratitudine per ciò che c’è stato. Hanno imparato a difendersi, non a dire grazie.
Ma la riconoscenza non è un atto di sudditanza, è consapevolezza. È capacità di leggere i passaggi, le persone, i contributi, anche minimi, che ci hanno permesso di fare un salto. E forse, anche tra generazioni, andrebbe riscoperta come codice di connessione, più che come gesto formale.
L’algoritmo mancante
La riconoscenza può sembrare un valore d’altri tempi, quasi ingenuo in un’era dominata da analytics e dati. Ma è forse più rivoluzionaria che mai. È il filo umano che collega individui iper-digitalizzati, l’“algoritmo mancante” che dà senso ai risultati oltre i numeri. Coltivare la gratitudine non significa rinunciare alla performance: significa sbloccare un livello più alto di performance sostenibile, perché basata su fiducia, passione, reciprocità.
Un ambiente di lavoro, una famiglia, una squadra dove ci si sente rispettati e ringraziati è un luogo in cui le persone crescono, osano, innovano. Come un ecosistema che si auto-rigenera, la cultura della riconoscenza porta frutti umani e organizzativi.
Dire grazie non è solo buona educazione. È un atto di celebrazione. Come ho scritto in una delle mie Interferenze, celebriamo troppo poco: passiamo da un obiettivo all’altro senza onorare il percorso. Invece un “grazie”, detto bene, può essere un piccolo rito che segna un passaggio, che costruisce memoria collettiva. Celebrare è un modo per rallentare il tempo e dire: “questo momento merita”.
E se non celebriamo nulla, tutto si appiattisce in una routine produttiva senza profondità. Dopotutto, non c’è innovazione più grande che riscoprirsi umani. E la gratitudine è il codice più semplice per riuscirci.
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