Era un bel po’ di tempo che avevo in bozza questo post: mi mancava sempre quel qualcosa che facesse scattare la riflessione giusta ed il giusto impulso per pubblicarlo. Oggi l’ho ritrovato mentre rimettevo in ordine il blog e ho deciso di portarlo online così come era integrandolo di un paio di riflessioni.
Tutto era partito da un video di Velasco sulla cultura degli alibi, ed un vecchio post di Andrea dal titolo “L’estetica del fallimento” e dalla sua riflessione legata alla chiusura di un progetto su cui lavorava da tempo. In particolare nel post Andrea analizzava il fallimento definendolo:
…qualcosa che chiunque voglia fare l’imprenditore deve tenere sempre presente che il successo è l’eccezione e non la regola e che le proprie decisioni potranno portare a un punto di non ritorno. Si deve essere consapevoli di cosa si stia rischiando evitando che ciò porti all’immobilità per paura di sbagliare, perché restare immobili è il modo più veloce per fallire. D’altra parte, fallire può essere un’opportunità a patto che si sia disposti ad imparare e a fare autocritica…
Sull’importanza dell’imparare dagli errori non posso che esser d’accordo. Ma chi non lo sarebbe dopo tutto? Quante volte abbiamo sentito dire:
In every failure there is a lesson to learn.
Fallire non è sicuramente l’ambizione principale di chiunque parta con una iniziativa propria, e certamente non si può sperare di fallire a priori, per poter imparare. Anzi, personalmente non amo pensare ad un progetto, prendendo in considerazione il fallimento dello stesso.
Però se è così “banale” ed è tanto noto il concetto dell’imparare dagli errori, perchè poi rimane così difficile parlare di errori, fallimento, ammettere uno sbaglio e condividere l’esperienza negativa? E’ sempre così complesso fermarsi ad analizzarne (e capire) passo passo i vari step fatti, ed individuare eventuali scelte errate. Forse la fretta di riprovare o forse, spesso, la mancanza di forza di riprovare.
Seguo progetti e aziende neo nate in qualità di advisor e mentor, e spesso vedo ripetere gli stessi errori. Anche su cose semplici, molte volte si ripetono gli errori, quasi come fosse una abitudine.
Nello sport, nella professione e nella vita, il fondamento della crescita, secondo il mio punto di vista, ma credo condiviso, si trova nella sperimentazione continua e nel successivo processo di analisi dei risultati e fallimenti, affinché si possa fare una evoluzione graduale e si possa poi accelerare lo sviluppo del passaggio successivo.
L’attenzione alle performance e alle attività svolte permette di individuare elementi positivi, meno positivi e critici che ci mettono in condizione di valutare, riflettere ed agire di conseguenza.
Ogni altro pensiero e valutazione, che non riguarda direttamente la nostra sfera d’azione, è semplicemente un alibi. E qui è l’errore più frequente: “Ah, ma la colpa è di … che non ha…”
Si chiama “adeguamento naturale” ed è quella azione ci fa trovare sollievo in fattori a noi estranei: rappresenta una “cultura”, la cultura degli alibi appunto. E dalla sua assuefazione, dipende l’insicurezza ed l’incapacità di fare cose, commettere errori, prendere iniziativa e portare a termine i progetti.
Quante volte accusiamo la sabbia di esser sabbia?
Non credo ci sia qualcuno che non sia mai caduto in questa trappola. A me personalmente è capitato spesso e forse il momento in cui ho capito come dovevo agire è proprio quando ho cominciato a chiedermi se la sabbia non fossi io.
Vi condivido un video, che probabilmente avrete già visto, ma che non fa mai male rivedere. Io l’ho rivisto molte volte e che secondo me contiene molti messaggi importanti per chi vuole affrontare con positività, divertimento e crescita percorsi di vita o professionali.
Velasco, allenatore sportivo, in questo video spiega la cultura degli alibi attraverso alcuni esempi e riferimenti alla sua esperienza.
Assolutamente da vedere. Tutto.
“Voglio vedere se trovo uno schiacciatore che schiaccia anche con con le palle alzate male” – Velasco.