Ci penso spesso, ultimamente.
Viviamo in un epoca in cui la tecnologia è ovunque, l’automazione accelera, l’AI sta segnando un momento di cambiamento dagli impatti ancora indefinibili, e le aziende parlano solo di numeri, efficienza, KPI.
Ma che fine fanno le persone che pensano? Quelle che si fermano, riflettono, immaginano. Quelle che guardano oltre, che non si limitano a eseguire. Ho visto aziende perdere talento, non perché mancassero strumenti o risorse, ma perché non davano e avevano più spazio per le idee, per la curiosità, per il coraggio di sfidare le regole.
È come se, nella corsa verso il futuro, ci si dimenticasse che a guidare tutto questo dovrebbe esserci il pensiero.
E non parlo solo di strategia, ma di quel pensiero umano, creativo, imperfetto, che dà senso a tutto il resto.
Quando un’azienda perde chi pensa, non perde solo persone. Perde prospettiva, perde capacità di innovare davvero, perde la sua anima. L’anima, quella di cui più volte ho parlato in questi anni, e che De Masi nei “I sogni dell’impresa” raccontava benissimo.
E questo mi spaventa, perché il rischio è di ritrovarci con organizzazioni che funzionano come macchine: efficienti, sì, ma vuote.
Io credo che trattenere chi pensa, chi sogna, chi costruisce visioni sia la vera sfida.
Ed è anche un messaggio per me stesso, per ricordarmi che il pensiero va coltivato, difeso, protetto, sempre.